Acciaio, saldatura, resine, pigmenti, polveri di marmo
e foglia oro/ cm.150x110
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Ma dovevo decidere cosa, e soprattutto come realizzarla.
Riguardo al come… volevo trovare una soluzione consona, che trasmettesse ciò che le immagini non potevano dire. Così cominciai col lavorare a un formato inusuale, piccolo, che risultasse però discretamente pesante, come pesanti erano gli Oggetti trattati. Una specie di raccoglitore di schede che ricordasse le mazzette colore, ma con prerogative di consistenza e peso specifico, alto sia fisicamente che concettualmente parlando. Campionario da sfogliare, ma privato di quella leggerezza e di quella velocità di consultazione tipiche studiate per i comuni campionari.
I primi prototipi prevedevano l’utilizzo del ferro, del rame e dell’alluminio, da soli o combinati. Da lì la decisione di produrre 110 esemplari in alluminio con divisore interno in rame, e 110 esemplari in rame con divisore interno in alluminio. Una tiratura limitata di cataloghi/Opera, numerata e firmata. All’interno della quale ogni esemplare fu personalizzato con una scheda acquarellata a mano. Nella totalità dei 220 esemplari prodotti inserii volutamente un pezzo unico, a ricordare la transizione da seriale ad unicum dell'Oggetto FRIGO: il n.60 della serie in rame, aerografato in copertina.
Il contrasto tra uno stato di degrado oggettivo e l'evidente pregnanza formale esibita fu la molla d'innesco. Partendo dalla caratteristica bombatura degli oggetti osservati, entrai nei particolari di quel che genericamente potrebbe dirsi un recupero, dove la fase lunga e difficile del restauro non era che uno strumento. Ciò che mi spingeva ad agire era soprattutto lavorare sul concetto di identità dell'oggetto. L'idea fu di dare nuova vita (ancor più che ridar vita) a qualcosa che reputavo non l’avesse persa come poteva sembrare, o si volesse far sembrare. A qualcosa cioè che stava conoscendo la nebbia, l'oblio. Intendendo per oblio l'azione arbitraria, la sorte che l'uomo proietta sugli oggetti prodotti come su ciò che gli pre esiste in natura, indipendentemente dai cicli vitali. Nuova vita quindi, ma "altra".

Pensai a una vera e propria esca, a un richiamo irresistibile per mani e occhi. Una specie di vetrina dei sensi, allargata e trasversale quanto a gusti e a gusto comune.
Una sorta di godimento cromatico che risultasse il più attraente e immediato possibile, tanto da relegare i soggetti raffigurati a una condizione di subalternità rispetto all'impatto procurato [cosa che non piacque affatto a chi avrebbe voluto vedere nella cosa un'operazione di design prettamente commerciale-ndr.].
La banalità in sè del quesito, del tutto plausibile se scremato della ossessione con cui era posto, nascondeva una scaturigine che mi spingeva ad indagare: dopo una lunga serie di feedback assolutamente identici, sulla base di un campionamento di tipi anche molto diversi tra loro, ragionai da un lato sulle reazioni del singolo messo di fronte a un oggetto d'uso comune ma cosìddetto d'arte. Dall'altro, sulle reazioni codificate della massa consumatrice, specie se indotta ad interagire con un oggetto saputo vecchio, in disuso quindi, ma "conciato per le feste”. Ebbene, pur innegabilmente attratti, vidi più o meno tutti reagire sulla scorta di una memoria fittizia. Sulla scorta cioè di ciò che sapevano o credevano già di sapere a riguardo. Ciò che toccavano, vedevano, sentivano o assaporavano al momento, sembrava non contribuire affatto alla conoscenza.
Ebbene, sapere che funzionassero è sempre risultata la condizione necessaria a riportare tutto e tutti a una più facile condizione di sollievo, direi di rassicurante ricollocazione e poi di ascolto. Come se una specie di latente senso di colpa, forse dovuto a qualche esperienza personale in merito, trovasse per un momento improvvisa esplicitazione in quel riemergere smaccatamente bello. E magari proprio per quell'inspiegabile spinta ad andare a toccare, ad aprire per andare a vedere.
Il progetto FRIGO ha segnato una tappa. In quanto tale mai l'ho considerato un progetto chiuso. Ho sempre cullato altresì l’idea, fin da quando il tutto prese il via con il primo Bosch Zebra, del percorso a ritroso. Dell'indagine sia di segno che di senso opposto. La cura, l’attenzione, la volontà di evocare l'esistente tramite punti privilegiati, particolari inattesi o disattesi, attraverso spiragli piuttosto che attraverso portoni (... pesanti portelli dovrei dire qui!), non è giocoforza peculiarità rivitalizzante. Un colpo mortale inferto, una cosciente (in taluni casi incosciente) quanto puntuale azione inversa segue lo stesso percorso concettuale. La morte, contrapponendosi polarmente alla (ri)nascita, finisce con l’assomigliarle anche nel mondo trito e ritrito di ciò che l'uomo produce fuori e altro da sè (oltre che fuori di sè!). Entrambi estremi dello stesso percorso, morte e nascita condividono la stessa essenza. Coincidenza di opposti, illusione di lontananza quale terreno d'indagine.
"Certe” forme destano interesse.
”Certain” shapes arouse one’s interest.